the black hole, è uno spazio espositivo - misura metri 6,86 x 1.45 x 1.49 - ricavato dalla fossa di ispezione di una ex officina, coperto da un vetro temperato. È un taglio nel suolo, una fessura dentro cui guardare da un punto di vista diverso. Il punto di vista dell'osservatore è un elemento importante del contesto. Qui lo sguardo sull'opera è inedito, inusuale, è un guardare giù che si confronta con l'idea primordiale della vertigine. L'artista è invitato a progettare un intervento site specific o a rimettere in gioco e reinventare la presentazione di un'opera d'archivio, per una visione zenitale che impone una lettura nuova e inaspettata.

 

 

THE BLACK HOLE


Federica Ferzoco

ARTE # ANTIDOTO

 

Maggio 2023 - Maggio 2024

 

a cura di Claudia Canavesi

 

 

SCULTURA - Arte e tecnica dello scolpire, cioè di raffigurare il mondo esterno, o meglio di esprimere l’intuizione artistica per mezzo di materiale opportunamente modellato; con valore concreto, l’opera stessa. Nella denominazione di s. si comprende ogni opera plastica (…), sia essa scolpita (…), plasmata in materia cedevole (…), fusa (…) o ottenuta dalla saldatura di pezzi metallici o dall’aggregazione di materiali diversi tridimensionali. (treccani.it/enciclopedia/scultura)

Federica Ferzoco presenta un gruppo scultoreo apparentemente immateriale, dove un velo sottile divide lo spazio vuoto in due parti, senza toglierne la visibilità e contemporaneamente facendoci percepire delle presenze. Le figure emergono nelle loro forme umane palesemente riconoscibili, delicate nella loro leggerezza e trasparenza. Una tecnica plastica innovativa riconducibile all’azione di plasmare una garza; quindi non attribuibile alla scultura classicamente scolpita o modellata, ma un calco. Un calco come testimonianza di qualcosa di reale, figure umane od oggetti. Come fotografie tridimensionali dove il filtro è il materiale stesso, che nella sua trasparenza ci fa continuare con l’occhio all’interno del volume e contemporaneamente, con la sua delicatezza ci ricorda l’impossibilità dell’autore di gestirne la durata nel tempo o la precisione delle forme analizzate. Nella superficie del velo si sviluppano figure che abitano lo spazio di the black hole, diventando un tutt’uno con la pienezza di questo luogo. Uno spazio espositivo completamente visibile all’occhio del fruitore, sopra e sotto, dentro e fuori la garza. Garza che diventa un piano impalpabile, materialmente quasi “un niente”. Un niente che riempie la fisicità di the black hole facendola diventare essa stessa opera. La visuale dall’alto e gli scalini presenti obbligano l’artista alla progettazione di una forma installativa ben precisa e ad abitare il luogo espositivo con figure in posizioni determinate, creando un’opera site specific che ha senso solo qui. Oltre alle specificità formali dello spazio, altri elementi entrano in gioco nella realizzazione del progetto, come la luminosità (quasi assente quella naturale) e l’umidità che influirà sicuramente nell’arco del periodo di apertura della mostra pari ad un anno.

In questa installazione, l’artista ci racconta un intero percorso intimo. “L'arte era un alibi che spostava il punto dell'attenzione da me a lei”. A partire dal 2012, dopo almeno sedici anni di sperimentazione di calchi con la garza fatte su parti del corpo, Federica Ferzoco riconosce che l’arte è stata, fino ad allora, il suo rifugio per riporre ed affrontare il proprio vissuto personale, comprese debolezze, stranezze e fragilità rappresentate molto bene dalla trasparenza di questo materiale. Un antidoto per il dolore composto da metodo, procedimenti, tecnica, conoscenza dei materiali, trasparenza, leggerezza, fragilità, delicatezza e relazioni. Relazioni inevitabili sia con i luoghi di realizzazione delle sculture per le loro caratteristiche di umidità, aerazione, luminosità; e relazioni soprattutto umane, in quanto le opere sono spesso calchi di persone, amici ma non solo, che si prestano a questa esperienza. 

Relazioni che si basano sulla fiducia che si dà all’artista magari conosciuta quasi trent’anni prima oppure tre giorni fa. Chi decide di farsi fare il calco con la garza, accetta di stare quasi un’ora sotto questo velo matericamente leggero ma simbolicamente forte; accetta di restare immobile e bagnato per qualche decina di minuti, decide di farsi asciugare con fonti di calore con la speranza che non diventino troppo eccessive all’improvviso. E anche questa relazione nata dalla necessità di un procedimento tecnico/artistico, diventa antidoto per entrambi. L’antidoto sotto forma di arte, o la sua consapevolezza, ha portato ad altri dieci anni di attività artistica caratterizzata da questa forma espressiva e nel 2022, Federica Ferzoco accetta e trasforma le sofferenze e gli sconforti “guariti dal fare arte” riconoscendo il suo percorso di crescita e di conclusione di un periodo; sentendosi pronta a partire dall’installazione/azione per la mostra “ARTE#ANTIDOTO - Biblioteca di Viganò - Luglio 2022” a condividere questo percorso con studenti e studentesse lasciando loro, come un maestro lascia in eredità un sapere, una competenza tecnica che racchiude simbolicamente molti altri contenuti.

“Tutto è portare a termine e poi generare. Lasciar compiersi ogni impressione e ogni germe d’un sentimento dentro di sé, nel buio, nell’indicibile, nell’inconscio irraggiungibile alla propria ragione, e attendere con profonda umiltà e pazienza l’ora del parto d’una nuova chiarezza: questo solo si chiama vivere da artista: nel comprender come nel creare” (Rainer Maria Rilke, Lettere a un giovane poeta, 1903/1908 – Adelphi 1999).

In questa occasione Federica Ferzoco, ha condiviso l’azione artistica con gli studenti del Liceo Artistico Angelo Frattini, che nella giornata di Giovedì 18 maggio, hanno posato sotto la garza, e quindi realizzato l’opera plastico/scultorea, realizzando anche una documentazione dell’intera performance. Un nuovo appuntamento sarà tra un anno, dove insieme agli stessi studenti, l’artista riavvolgerà l’opera inevitabilmente mutata dal tempo, memoria di relazioni e condivisioni come antidoti alla sofferenza.

Claudia Canavesi

 

 

Federica Ferzoco, nata a Milano nel 1974, ha conseguito il Diploma di Maturità Artistica e il Diploma di Scultura presso l’Accademia delle Belle Arti di Brera. Ha partecipato a diverse esposizioni collettive e personali in Italia ed all’estero dal 1995 ad oggi. L'elenco delle esposizioni ed altre informazioni sono disponibili al link: www.federicaferzoco.it

 


Joykix

Memorie del sottosuolo

Maggio 2022 - Aprile 2023

 

a cura di Luca Scarabelli

 

 

Per The Black Hole, spazio espositivo sperimentale del Liceo (la buca d’ispezione dell’ex officina), Joykix (alias Fabrizio Longo, Milano, 1964), presenta Memorie del sottosuolo, un lavoro composto da elementi eterogenei che entrano in contatto e dialogo, ritmando attraverso la dialettica di una struttura architettonica natura e artificio, e così le dinamiche della vita contemporanea, metaforizzata dalla crescita e cura di un microcosmo naturale custodito, privato e aperto allo stesso tempo. L’opera è quasi un’incubatrice, una macchina non-celibe, mediatrice di possibilità, post-ecologica e profondamente poetica. Una grande scultura-struttura sotterranea che si muove idealmente in dialettica opposta alla macchina celibe di memoria duchampiana, caratterizzata dalla proiezione in sé, del movimento fine a se stesso. Si rammenta inoltre come referente linguistico all’interno del sistema dell’arte del’900 che il Grande vetro è intitolato “La sposa denudata dai suoi celibi”: un ingegnoso, curioso e intellettuale e anche complesso intreccio di meccanismi di cui non si riesce bene a vedere e capire il funzionamento e sopratutto l’utilità. In Joykix la macchina è non-celibe, non si sposa… è più vicina a quella battezzata come “macchina desiderante” dai filosofi  Deleuze e Guattari. Riflessioni molto care all’artista legate alle molte domande che si è posto durante la produzione del lavoro: “Cos'è il progresso? L'abbiamo incontrato, superato e ce lo siamo lasciato alle spalle? Potrebbe crescere qualcosa qui sotto? Oppure sarebbe un altro fallimento? Di cosa ci sarebbe bisogno ancora? Potrebbe funzionare in autonomia o avrebbe bisogno di un po' di cura? Troveremmo ciò che cercavamo? Una serie infinita di costruzioni, di macchine, di tecnica che avrebbe dovuto rendere più facile la vita umana e più felice la condizione sulla terra? E la terra? Con tutto ciò che contiene sopra e sotto? E poi? E poi ti trovi all'ultimo livello della Azovstal e pensi che forse sia meglio rimanere lì”. Ecco come cercare di ricreare un mondo separato con quello che riesci a trovare, con quello che ti inventi strada facendo, con tutto ciò che là sotto riesce a sopravvivere. E  ogni tanto una incursione nel fuori per recuperare ciò che manca o potrebbe servire. E poi tornare sotto. Ma almeno non sei lì fuori. Nel delirio della guerra e dello spettacolo. Dello spettacolo della guerra. Giù nel bunker dell’underground.

 

 

Joykix, è scenografo, dalla metà degli anni Novanta lavora come progettista di allestimenti. Attivista della scena underground milanese degli anni Ottanta e Novanta, è tra i fondatori del Virus e dell’Helter Skelter di Milano. È autore di pubblicazioni indipendenti (quali Hydra Mentale), attore di performance in spazi pubblici urbani e antagonisti, compositore di sonorità industriali. In quegli anni realizza serie fotografiche e filmati in super8 indagando le aree industriali dismesse. Dal 2008 si dedica all’arte visiva realizzando progetti che utilizzano fotografia, video e installazioni.

 

 

 


Umberto Cavenago

Telescopico, 1991

Maggio 2019 - Maggio 2021

 

a cura di Luca Scarabelli

 

 

Per The (Black) Hole, Umberto Cavenago (Milano, 1959), presenta un suo lavoro storico. Telescopico, 1991, è una grande scultura scatolare in lamiera zincata, alluminio e acciaio dalla lunghezza modificabile già esposta in diverse importanti occasioni tra cui lo spazio della Galleria Ala di New York, qui presentata in una nuova configurazione e punto di vista, con la buca colorata in nero dall'artista. Interessato al sistema progettuale e alle strutture compositive generate dall’incontro della scultura con lo spazio, Cavenago ha la capacità di predisporre opere sottilmente ambivalenti, dove razionalità e causalità si intrecciano in serissime costruzioni in cui la tecnica e l’artigianalità dialogano con idee inusuali, che deviano quanto basta la funzionalità, per rendere l’opera inaspettata, quasi incontrollata, mobile, per guardare le cose diversamente, pensarle diversamente, ma con metodo. 

 

Umberto Cavenago nasce a Milano nella seconda metà del ‘900.

Tra le numerose esposizioni si segnalano: la XLIV Biennale di Venezia nel 1990. Nel 1991 è presente con una sala personale a Metropolis al Martin-Gropius Bau di Berlino. Partecipa alla Biennale di Johannesburg nel 1995.Nel 1997 l’opera Nastro trasportatore, una scultura elettromeccanica in tre moduli, attraversa i muri del Le Magasin, Centre National d'Art Contemporain di Grenoble. Nel 1996 ad Ultime Generazioni in occasione della XII Quadriennale d'Arte a Roma. nel 1996 rappresenta l'Italia alla 23a Biennale Internazionale di San Paolo. Nel 2021 il progetto Home sweet home è vincitore dell’avviso pubblico “PAC2020 - Piano per l’Arte Contemporanea” promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura italiano.  Umberto Cavenago è stato docente a contratto presso l'Accademia di Belle Arti di Bergamo dal 1996 al 2010 e l'Accademia di Belle Arti di Urbino dal 2006 al 2012, sperimentando progetti tra le docenze di Pittura, Anatomia, Progettazione multimediale, Sistemi interattivi e Scultura. Dal 2015 gestisce uno spazio espositivo indipendente all’interno di una sua installazione permanente L’alcòva d’acciaio, nascosta in un bosco delle Langhe.

 

 

 


Marcello Morandini

Passi di Conoscenza

Maggio 2017 - Maggio 2018

 

a cura di Luca Scarabelli

 

 

Alfabeto Rosenthal, l’opera scelta da Marcello Morandini, si presta molto bene a questa nuova lettura. Realizzata negli anni’80 in un periodo ormai storico, che l’opera stessa racconta molto bene attraverso la sua sensibilità tutta postmoderna, presenta la serie delle lettere dell’alfabeto italiano su un fondo nero. In Alfabeto ogni singola lettera ha un suo specifico modo di essere, è un logogramma ideato da Morandini proiettando la sua forma nello spazio facendola quasi esplodere, componendo una superficie che diventa sensibilmente presente, dinamica e attiva. C’è in questo progettare una grande libertà compositiva che si scopre ad esempio anche nel gioco dei colori delle lettere - quasi una atipicità nell’opera di Morandini - un metodo ludico di reinvenzione continua delle forme, con possibilità combinatorie praticamente infinite. Le lettere difatti si aprono in assonometrie, si dividono, ruotano, scorrono sugli assi, si proiettano in ombre sempre riconfigurate. All’interno di quest’opera si riconoscono inoltre delle forme - come persistenze che ritorneranno anche in altri suoi importanti lavori - di microsistemi compositivi e di moduli specifici del suo fare combinatorio, del suo caratteristico progettare la forma, riproposte in scale diverse, ripetizioni, misure scalari, cifre riconoscibili di un’estetica molto personale. 

Per the hole, Morandini, considerata la lunghezza della “buca”, la collocazione “sotterranea” dell’opera e la disposizione del pubblico, mette in risalto una lettura di Alfabeto, oltre che nello spazio, nel tempo, semplicemente collocando una lettera dopo l’altra, una cosa dopo l’altra, in modo molto fisico e presente, questo adottando la classica convenzione della lista del nostro alfabeto, organizzandola in due file ordinate, per un cammino di lettura che prevede uno spostamento fisico del visitatore, una andata e ritorno, per suggerire un possibile e concreto abbecedario in cui il capolettera è però una miniatura quasi inafferrabile. Morandini ci invita così a vivere l’esperienza di un percorso che è sia visivo che mentale, e un cammino che è metafora di una conoscenza che cresce passo dopo passo.

 

 

 

 

Marcello Morandini (Mantova, 1940).  È uno dei maggiori rappresentanti dell’Arte Concreta in Europa. Ha iniziato la sua attività nel 1964 con una personale curata da Germano Celant; nel 1967 è invitato alla “IX Biennale” di San Paolo in Brasile e nel 1968 alla “XXXIV Biennale Internazionale” di Venezia. Nel 1972 realizza una retrospettiva alla Kestnergesellschaft di Hannover. Nel 1977 è invitato a documenta 6 di Kassel. Negli anni ottanta collabora con studi di architettura a Singapore e a Kuala Lumpur in Malaysia. Nel 1984 progetta in Germania la facciata di 220 metri della fabbrica di porcellane Thomas a Speichersdorf. Dal 1984 al 1986 allestisce esposizioni personali in diversi musei: Tokyo, Bochum, Verona, Darmstadt, Mannheim, Helsinki. Nel 1988 progetta una scultura di 40 metri, come simbolo esterno del museo di Ingolstadt. Nel 1993 ha una mostra antologica di arte e design al Museo Die Neue Sammlung di Monaco e al Palacio Galveias di Lisbona nel 1994. Dal 1995 al 1997 è docente di arte e design all’Accademia estiva di Salisburgo; dal 1997 al 2001 all’Ecal di Losanna e nel 2003 all’Accademia di Brera di Milano. Nel 2004 viene eletto membro onorario della Royal Society of Arts di Londra. Il Wilhelm-Hack-Museum di Ludwigshafen, che gli ha dedicato 3 importanti mostre personali, gli commissiona una scultura di 10 metri per la piazza del il museo. Nel 2005 inaugura con una mostra personale il nuovo Ritter Museum a Waldenbuch. Nel 2007 progetta l’architettura del centro culturale “Das kleine Museum” a Weissenstadt in Germania. Nel 2008 il Museo Ca’ Pesaro di Venezia allestisce una sua importante esposizione, esposta l’anno successivo al Neues Museum di Nürnberg. Nel 2010 si inaugura una sua scultura di 11 metri, come simbolo dell’Europäisches Industriemuseum di Plößberg. Allestisce inoltre una retrospettiva alla Casa del Mantegna di Mantova. Nel 2014 allestisce una mostra personale di arte e architettura al Kunstmuseum di Bayreuth e una retrospettiva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Negli anni ’70 è stato per alcuni anni docente al Liceo Artistico Frattini.

 


Youngju Oh

Madrepora

Aprile - Maggio 2017

 

a cura di Elena Ceci

 

L’artista coreana colloca in the hole una costellazione di fluttuanti pianeti di carta, ribaltando la loro originaria ubicazione, per rotolare alla deriva nel luogo più profondo del suolo. In questo luogo particolare l'opera, riconfigurata per l’occasione, ricodifica il proprio significato, offrendosi alla vista dall'alto del suo osservatore. Le forme leggere di carta piegata si ricompongono così in un insieme brulicante di presenze. Materiali naturali, carta, poche struttura rigide che sostengono, come scheletri, una grande superficie frastagliata, frattale, che scambia con l’ambiente, ben protetta all’interno del buco, come sta una madrepora nel profondo del mare.

 

 

Youngju Oh. Nata a Gwangju in Corea del Sud. Si laurea in Architettura Paesaggistica in Corea del Sud; si specializza in Industrial Design all’SPD di Milano; ottiene il Master in Design & Management al Politecnico di Milano. Dal 2002 ha un proprio studio di architettura e design a Milano: un luogo interattivo d’incontri e di lavoro. Interviene in suggestive installazioni in cui la linearità e la metafora giocano un ruolo importante, rivolto più alla conoscenza che all'inventiva. L'arte, per Youngju Oh, è un ampliamento creativo dell'essere, in cui l'opera è progetto esistenziale, una specie di “Architettura Totale”, la sua architettura, principio fondamentale che percorre le sue molteplici attività culturali, in cui il privato e il pubblico, i materiali e i colori, le forme e le simbologie riflettono un’armonia e un equilibrio del suo pensiero forte. Membro del network di designer Takeaway, Ceo dell’Iodas Ltd (Institute Of Design And Sustainability), co-fondatore del network di Design Creativo OpDiPo (Opificio di Disegno Industriale Potenziale).