Pensato per ospitare mostre temporanee all'interno del nonmuseo, SPAZIOARTE è lo spazio espositivo storico del liceo dedicato alla memoria  di Luigi Angelo Rossi, idealmente rappresenta la continuità dell'esperienza espositiva attivata al Liceo Artistico fin dalla sua istituzione quando la sede era ancora quella in centro alla città. 


Massimo Fergnani

Anima: epicentro del periodo creativo

 

Aprile 2024

 

 

a cura di Constantin Migliorini

 

 In una mattina uggiosa e piovigginosa io e Claudia Canavesi, visitiamo dopo vari cambiamenti di date disponibili, Massimo Fergnani nel suo studio a Gazzada per una conversazione e qualche scatto fotografico alle opere. Questo laboratorio , dall’aspetto di officina, un pò nascosto in una sorta di corte lombarda , di fronte ai binari della ferrovia, si presenta con un massiccio, vecchio portone marrone scrostato dal tempo, per poi essere avvolti appena entrati dall’odore della polvere di marmo e gesso e quello un po' dolce e ammuffito della creta , con sottofondo una radio accesa che nessuno ascoltava e con Fergnani che salutandoci con un “benvenuti”, aveva appena sospeso un lavoro iniziato. L’impressione immediata è stata che questo luogo sia davvero l’epicentro indispensabile a Fergnani dove avviene l’atto creativo e l’inizio del racconto in tridimensione delle necessità umane più recondite e del tentativo di dare risposte al suo animo. Ogni angolo di questo spazio si presenta pieno di scaffalature con sculture , busti, teste, studi di mani, lavori su committenza, strumenti di ogni genere, scalpelli, sgorbie, ferri, per armature, arnesi, tronchi non ancora lavorati, seghe, tutto disposto in un ordine ben preciso e funzionale, mentre in alto dal soffitto un argano con catene ci controllava, e in fondo nascosto da locandine di vecchie mostre , un soppalco con una galleria di alcune sculture finite in mostra, aspettava di svelarci i lavori custoditi, insomma un luogo dove non si può aver dubbi su quale possa essere il mestiere del proprietario , se non quello nobile dello scultore. Gli atelier raccontano sempre dell’artista ospitato , infatti Fergnani è uno scultore che incarna quella qualità operativa alta e ben radicata nella miglior tradizione disciplinare del ‘900, dove la sapienza artigianale in funzione della sua specifica sensibilità poetica espressa, può passare con disinvoltura dal legno alla scultura colorata, per poi praticare il marmo, il bronzo, la terracotta, secondo un’invenzione di sintesi figurativa con forti accentuazioni simboliche e con un continuo dialogo tra figurazione e astrazione. La scultura come dice Fergnani, è frutto anche della casualità, ma sopratutto del lavoro quotidiano. Il processo creativo parte con un’dea iniziale e con un’esigenza interiore, nata nella testa e bloccata col disegno su carta prima che essa evapori, così che faccia da timone e ne indichi la direzione, ma cominciando poi a lavorare con la materia, ciò che all’inizio appariva tutto così chiaro, acquista nuove possibilità, dettate dal fare e dalla scoperta di materiali che man mano si presentano con le loro specificità. Il legno di pino marittimo o quelle delle siepi di bosso, dove le spaccature tra le fibre possono acquisire un valore espressivo, come quel senso di lacerazione esistenziale o di vuoto, suggeriscono di volta in volta situazioni insolite non calcolate inizialmente, ma importanti e stimolanti per il divenire della forma. Ed è così che il difetto o l’intoppo, può essere inglomerato nell’idea e prenderne parte formalmente. Lo si denota anche nelle sculture di marmo di Carrara, materiale nobile e sapientemente ben lavorato da Fergnani, dove la ricerca formale gioca molto tra pieni e vuoti, per far emergere questo concetto di lacerazione e spaccatura che sempre ritornano, finalizzate a toccare tematiche dove al centro c’è sempre l’uomo col il suo pensiero di emozioni, con la trasfigurazione, l’anima, la genesi, la contorsione, l’ascolto. Il lavoro di Massimo Fergnani è onesto, nel solco della tradizione novecentesca, ammaliante e convolgente, svolto con una eccezionale conoscenza dei processi concreti del fare scultura, con consapevolezza e con l’umiltà che il duro mestiere insegna e che ci suggerisce con le opere esposte al Non Museo del Liceo Frattini, una parte della sua visione intimistica e poetica della vita. 

 

Massimo Fergani Ferrara (1963). 

 


Ignazio Campagna

Cromie formali

 

Maggio - Settembre 2023

 

 

a cura di Luca Scarabelli

 

La scultura di Ignazio Campagna lavora sui fondamentali: scolpire è levare, eliminare delle parti, sottrarre e facendolo, considerare lo spazio mancante come ricettacolo di una forma vuota che pur non essendoci si sente come parte importante, quindi un eliminare che non fa sentire la sua mancanza, perché il pieno e il vuoto sono sempre in efficace dialettica. Dialogano attraverso l’intercessione delle ombre e nella sua opera più recente anche attraverso la presenza della coloritura. Il colore come mediatore, una pittura che a volte sottolinea la dinamica della forma, altre volte ne evidenzia la forza che fa vibrare la forma, a seconda dei toni e dei timbri coloristici utilizzati. Nel levare c’è sempre una sapienza, ed è anche quella della storia della scultura con cui Campagna si relaziona. La scultura come mestiere antico, con le sue specificità e artigianalità che è maestranza del fare.

Ci sono delle tematiche a lui molto care e alcune si ritrovano anche nelle opere in mostra: l’ascensione, Marsia, Icaro, l’Albero dai Frutti dorati, i Pilastri viventi. La sua pratica si sviluppa con l’utilizzo di materiali duri, pesanti, faticosi: pietre, marmo ma anche il legno, per un rapporto con la natura delle cose a cui Campagna tiene molto, materiali che sceglie con attenzione e cura nel tempo, seguendone la temporalità della stagionatura ad esempio, come quella del ciliegio, del il tiglio o del noce, per utilizzarli al momento giusto. È il lavorio sulla superficie la porta di ingresso nella scultura, per interrogare i materiali sulle loro potenzialità di diventare forma significativa. La sua scultura è un “luogo” costruito, luogo del segno che diventa traccia, impalcatura di forme espressive che anche all’interno della potenzialità immaginifica dell’astrazione, racconta di miti e di fioriture di pensieri.

La sua ricerca parte da una progettualità intuitiva, l’esecuzione indaga poi la potenzialità della materia in favore di forme tra loro sempre dialoganti, messe in tensione con bilanciamenti meditati oppure con decise opposizioni di volumi e misure sviluppati in rapporti sinuosi, o con voli aggettanti, in cui le rette e le ortogonali si intrecciano con le curve, e iniziano così a fluttuare, o ancora con i piani che si modellano allo sguardo dispiegandosi in campi dinamici, giochi di movimento, intrecci. All’interno di questi “luoghi” le superfici e lo spazio si rafforzano o si alleggeriscono con il colore, come forme colorate, cromie che sono il “colorito” del mondo. È anche un fare, questo dipingere le forme, che serve a svelare una certa loro tattilità, che è anche quella delicata del pigmento utilizzato. Le proprietà materiche e luminose si incontrano; è l’incanto del mondo che ci fa “vedere” il visibile. Quindi il colore non è solo una consapevole aggiunta, uno scollamento percettivo, ma il particolare manifestarsi di un medium che diventa anch’esso parte della scultura come “luce luminosa” adagiata sulle forme per assecondarle, sottolinearle, come accento della dimensione emotiva ed espressiva che aiuta la terza dimensione a dare movimento visibile all’energia dell’apparire delle forme stesse nello spazio.

 

 

Ignazio Campagna nasce a Bagheria (Pa) nel 1956. Vive ed opera a Viggiù (VA). Il padre Pietro, cavatore di tufo nelle “Pirriere”, si trasferisce a Viggiù nel 1969. Qui, apprende i primi passi nell’arte della scultura, grazie all’insegnamento degli scalpellini viggiutesi. Frequenta il Liceo Artistico Angelo Frattini di Varese dove con il prof. Pasquale Martini creativamente consolida la conoscenza della scultura. Nel 1981 il diploma di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Lavora dal 1979 al 1981 presso lo studio dello scultore Vittorio Tavernari, eseguendo opere in pietra. Dal 2012 al 2019 è stato Conservatore dei Musei Civici Viggiutesi Enrico Butti. Al suo attivo ha numerose mostre personali, concorsi per idee, collettive in Italia e all’estero.

 


Alessio Larocchi

Macchia cieca

 

Maggio - Giugno 2022

 

 

a cura di Luca Scarabelli

 

Macchia cieca: questi dipinti di “paesaggi/patterns mimetici” riflettono l'indagine di Larocchi attorno al senso e all’idea di eterotopia. Eterotopia è termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault per indicare «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Eterotopico è, per esempio, lo specchio, in cui ci vediamo dove non siamo, un luogo altro, uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie ma che, al contempo, è un posto assolutamente reale, connesso a tutto lo spazio che lo circonda. Realtà e apparenza. In macchia cieca si vedono delle maculature che disattendono il compito di rappresentare il paesaggio, macule che lo camuffano più che mostrarlo. La macula/macchia si auto-mimetizza celando la vera identità di macchia, riassorbite nel paesaggio che avrebbero dovuto raffigurare. La forma è quella di un tondo-lente che raddoppia il senso della percezione. Il carattere stabile della forma è così solo illusoria apparenza. Larocchi coglie così identità fluide e mutevoli, con forme “instabili” che sfuggono alla nostra pretesa di classificazione, forme che ci tendono continui tranelli che chiamiamo chimere e che invece sono il loro più probabile statuto, la loro vera essenza. Un sogno vano, pure assenze, utopie appunto. “I tondi sono disposti a coppie separate da un ampio intervallo. L’interruzione indica lo spazio-tempo occorrente allo sguardo panoramico – supportato da binocolo – per cambiare punto di vista e raggiungere la successiva stazione di osservazione”. C’è qualcosa che notiamo con uno doppio sguardo e in mezzo la distanza del dialogo tra le cose.

 

 

Alessio Larocchi nasce a Milano, dove frequenta la facoltà di Lettere Moderne a indirizzo artistico presso l’Università Statale e si laurea all’Accademia di Belle Arti di Brera. Vive e lavora a Monza. Artista multimediale, si esprime per contaminazioni di codici e forme, realizza progetti interdisciplinari, collabora a riviste e pubblicazioni d’arte, espone in spazi pubblici e privati in Italia e all’estero.


Al Fadhil

 

Maggio - Giugno 2019

 

a cura di Luca Scarabelli

 

Allo SpazioArte, Al Fadhil presenta una serie di sue opere recenti, in cui la pittura e i materiali concorrono ad una narrazione che intreccia interessi per aspetti sociali, politici e naturalistici. Il lavoro Manto Mutante, una grande tela istoriata, esposto più volte, è un lavoro in progress, dialogante e relazionale, alla cui realizzazione concorrono gli spettatori della mostra partecipando al ricamo collettivo di una parola disegnata variamente sulla tela ripetute in più lingue. In mostra anche l’opera Matisse, un dipinto enigmatico, quasi una bandiera, in cui segni e parole riprendono in chiave ludica il lavoro dello storico pittore francese. Infine i Percorsi, lavori in bilico tra scultura e pittura, evocativi di tracciati di fiumi lambiti dall’artista in corse sportive salvati con app dedicate che seguono il percorso della corsa, e quindi rielaborati materialmente e pittoricamente in cascate colorate. I lavori di Al Fadhil sono occasioni per riflettere sulle distanze che ci separano e sulle occasioni che ci uniscono, sulle dinamiche dei rapporti interpersonali e sociali ma anche inviti a rivedere il nostro rapporto con gli elementi naturali. In mostra anche un lavoro video realizzato da alcuni studenti del liceo (Salvatore Di Stefano, Niccolò Visco, Maia Folla, Alice Soldi, Arianna Rossetti, Gaia Vidoni) che hanno incontrato l’artista in un workshop dedicato al tema del consumismo e alla spesa consapevole. 

 

Al Fadhil, nasce a Bassora, Iraq nel 1955 . Lascia il suo paese alla fine degli anni '70. Ha studiato all’Istituto d’arte di Baghdad e all’Accademia di Belle Arti a Firenze. Vive e lavora a Balerna, Svizzera. Lavora con la pittura, le installazioni, il suono, le fotografie e la videoart. Alla 50°Biennale di Venezia, si è trasformato, in un padiglione mobile, indossando una T-shirt con la scritta “I'm Iraq Pavilion”; molti hanno potuto assaggiare il suo pane arabo cotto nell'Attanour (forno),  creato per una mostra curata da Harald Szeemann nel 2003. Un suo video/denuncia è stato proiettato al 56° Festival del film di Locarno.

 

 


Vera Portatadino

Getta i numeri tra le stelle

 

Maggio - Giugno 2018

 

a cura di Luca Scarabelli

 

L’opera di Vera Portatadino facendo della rappresentazione un momento di contemplazione della verità della natura e delle sue implicazioni poetiche, non tradisce il portato storico e culturale del rapporto uomo-natura,  anzi ne evidenzia anche le implicazioni scientifiche nel rapporto tra natura e tecnologia che sempre di più ci informa e forma.

La sua è una visione della realtà strettamente intima e personale, fatta di geografie oniriche, quasi surreali, composizioni poetiche che rimandano ad un mondo in sospensione, quasi sognato, sicuramente fantasmatico, in cui microcosmo e macrocosmo si incontrano dialetticamente, come se si raccontasse l’attimo di un sospiro.  Sono sguardi dall’alto, come vedere la terra dallo spazio - un puntino blu ricco di natura - e sguardi perpendicolari, con lo spazio dentro di noi, quello di una natura naturante, colta nel suo divenire, di cui l’artista universale sempre responsabile e attento si prende cura, con creazioni ex nihilo di superfici specchianti il suo amore per la terra; così Vera, attraverso un racconto visivo uniti all’esperienza di un sentimento vitale e pulsante,  rapisce il nostro sguardo, sollecitato da uno sguardo sagittale e da visioni caleidoscopiche del mondo che ci passa sotto i piedi e sopra la testa, in cui la gravità per un attimo è sospesa. 

Cosmic Dancer, Bonne Vojage, Ticking away, Time is a game, e altre opere, sono inviti a guardare oltre, a cambiare punto di vista,  a tornare prima del big bang dove il tempo non esisteva. Così i suoi motivi e dettagli cosmici e botanici ci dispiegano la precarietà dell’essere. Questi motivi, tradotti in fiori, petali, steli d’erba, foglioline, stelle-punti nel cielo, diventano semplici segni deviando leggermente verso l’astrazione e il segnico, verso l’attenzione alla pittura stessa; è così che i segni disegnano sfondi sospesi tra suggestioni cosmiche e particolari di terre che riuniscono vari elementi, trasformandosi quasi  in punteggiature musicali, che si muovono galleggianti sulla superficie e si raddoppiano nell’ombra, diventano paesaggio cosmico, costellazioni di vita.  La pittura sempre lì, coraggiosa, a tratti impertinente, sempre decisa e forte come un’esclamazione, si fa riconoscere - la storia della pittura nella pittura - nelle pennellate ripetute, nelle velature leggere e trasparenti, in depositi dove il colore dimora e lo sguardo lento lo attraversa stupito e rapito dal variabile gioco cromatico delle sue superfici. 

La presenza umana è lì a contemplare.

 

 

 

Vera Portatadino (Varese, 1984)

Si diploma in Arti Visive presso la NABA di Milano e successivamente prosegue gli studi a Londra, dove consegue un Postgraduate Diploma e un Master in Fine Arts presso il Chelsea College of Art and Design. Nel 2014 fonda Yellow, un progetto di ricerca sulla pittura contemporanea italiana e internazionale con sede a Varese. Attualmente artista residente in Viafarini, a Milano, Vera ha esposto in Italia e all'estero. Tra le mostre più recenti: Openstudio, VIR Viafarini-in-residence, Milano (2018); The Sun is the Same, solo show, Microcosmi, Comerio (2017); Selvatico, Palazzo Pezzi, Cotignola, Ravenna (2017); Nella Casa Rossa, MAC di Lissone (2017) in seguito alla residenza presso la Rotes Haus di Dresda; FAR OFF, 1 Koffer Kunst, Colonia (2017); Into the Woods, Galleria Villa Contemporanea di Monza (2016); The Names, Transition Gallery di Londra (2016); Pitture di Paesaggi, Museo del Paesaggio - Palazzo Biumi Innocenti, Pallanza VB (2015) ; Pittura Contemporanea Italiana, CARS, Omegna (2015); Vasi Comunicanti, Museo Midec di Cerro di Laveno (2015).